Aziende e regioni

Veneto: acqua contaminata da Pfas per 350mila persone

di Vincenzo Cordiano (Isde-Medici per l’Ambiente Vicenza)

Nel luglio 2013 le autorità informarono i cittadini sulla presenza nelle falde acquifere del Veneto, spesso in concentrazioni elevatissime, dei composti perfluoroalchilici (Pfas), una “nuova” classe di inquinati persistenti globali, le cui principali proprietà chimico-fisiche (stabilità termica, idrorepellenza, oleorepellenza) sono sfruttate per produrre una miriade di prodotti di largo consumo quotidiano. I più noti sono probabilmente il rivestimento anti-aderente delle padelle (Teflon) e il Goretex. I Pfas sono usati, fra l’altro, per la produzione di: pesticidi e insetticidi; detersivi; pelli; tessuti impermeabili; contenitori per alimenti (sacchetti per patatine, ecc.) dai quali, possono essere cedute ai cibi. I Pfas persistono per anni nel sangue e per decenni nelle matrici ambientali; sono presenti anche in animali (foche, orsi) e uomini residenti nell’Artico.

I Pfas sono prodotti nel Nord-Est da una multinazionale di Trissino (Vicenza) che, secondo l’Arpav, li ha immessi per decenni direttamente nel fiume Agno e in un depuratore civile che scarica nel fiume Fratta-Gorzone, la cui acqua è usata per irrigare i campi e allevare gli animali. A oggi la contaminazione delle falde acquifere si estende per circa 180 kmq, interessando oltre 350.00 persone in circa 50 comuni di 4 provincie venete.

La contaminazione delle falde acquifere venete è quasi identica a quella causata negli Usa dalla multinazionale Dupont che, nel 2005, pagò oltre 330 milioni di dollari di multa per avere immesso nel fiume Ohio quantità enormi di Pfoa, il membro più noto della famiglia dei Pfas, per non aver divulgato i dati sulla sua cancerogenicità negli animali e sulla loro capacità di attraversare la placenta.
Un pool di epidemiologi indipendenti nominati dal tribunale americano sottopose nell’arco di due anni a uno screening sanitario (pagato con una parte della multa) circa 70.000 soggetti. Fu dimostrato che negli esposti ai Pfas con l’acqua potabile, almeno sei malattie erano più frequenti che nei non esposti: cancro dei reni e dei testicoli; colite ulcerosa; malattie della tiroide; ipercolesterolemia e ipertensione della gravidanza.
I Pfas, oltre a essere cancerogeni di classe 2b, sono anche interferenti endocrini, alterano cioè i meccanismi che regolano la produzione di numerosi ormoni, soprattutto tiroidei e steroidi sessuali. L’interferenza endocrina spiega l’aumentata frequenza nei soggetti con le concentrazioni ematiche di Pfas (indipendentemente dalla fonte d’esposizione) di malattie non tumorali: diabete; iperuricemia; ipercolesterolemia e sue complicanze (aterosclerosi, ictus cerebrale, cardiopatie ischemiche); riduzione del numero degli spermatozoi; infertilità maschile e femminile.
L’Isde- Medici per l’Ambiente chiese subito che fosse iniziato un monitoraggio sanitario dell’intera popolazione potenzialmente contaminata, ma finora la Regione Veneto non ha dato seguito alla richiesta, sebbene abbia stanziato 2.600.000 di euro per l’acquisto di filtri per depurare le acque ed avviato, con notevole ritardo, un programma di monitoraggio su un campione molto ridotto di matrici ambientali, di vegetali, di tessuti animali e di soggetti residenti nelle zone contaminate.
Pertanto l’Isde, in collaborazione con alcuni ricercatori indipendenti (Mastrantonio, Bai, Crosignani) ha condotto uno studio che, primo in Europa, ha evidenziato una maggiore mortalità per molte malattie Pfas-associate nei comuni le cui acque potabili presentano concentrazioni > 500 ng/L. È possibile, quindi, che i Pfas siano tossici anche a concentrazioni inferiori ai limiti obiettivo stabiliti dalle autorità italiane (1030 ng/L), limiti superiori a quelli della Germania (100 ng/L) o del New Jersey (40 ng/L).
L’adozione di un limite così restrittivo, ma sicuramente più cautelativo per la salute umana, avrebbe avuto indubbiamente ripercussioni economiche e sociali ancora più gravi delle attuali, causando la chiusura di un numero superiore di pozzi pubblici e privati. Resta infine da risolvere il problema di chi dovrà risarcire i danni e accollarsi i costi della bonifica, finora sostenuti dalla comunità, visto che in Italia non esiste un limite di legge “protettivo” per la salute umana.

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