“Pfas”, verbale esplosivo contro la Regione Veneto di Marco Milioni
“Pfas”, verbale esplosivo contro la Regione Veneto
I test sugli alimenti contaminati sarebbero stati eseguiti senza un metodo scientifico. E mancano anche le comunicazioni ufficiali sui risultati
È esplosivo il verbale che il 4 febbraio scorso è giunto sulla scrivania del segretario generale della sanità veneta, Domenico Mantoan. Il documento, inviato da Francesca Russo direttrice del settore igiene e sanità pubblica, spiega senza mezze misure che le analisi condotte sino ad oggi dalla Regione Veneto e dalle sue agenzie sulla presenza dei pericolosissimi pfas negli alimenti, hanno un valore prossimo allo zero. Lacune, contraddizioni e scaricabarile: queste le evidenze che emergono dal carteggio-bomba.
TOSSICITA’
Nel 2013 esplode il caso dei cosiddetti pfas, sostanze derivate dal fluoro impiegate in molti settori industriali. Queste sostanze, che sono altamente tossiche poiché interferiscono col sistema ghiandolare, vengono trovate in primis, ma non solo, lungo l’asta fluviale e lungo il sistema di falda dell’Agno Guà Fratta, fra le province di Verona e Vicenza. I primi riscontri come sorgente inquinante parlano della Miteni (in foto), una notissima azienda chimica di Trissino nel Vicentino. Ma nel frattempo si accendono le luci anche su altri comparti industriali, a partire dalla concia e dalla farmaceutica. Pur non essendoci limiti di legge precisi circa la presenza nell’ambiente di tali sostanze, il problema assume nei mesi un peso via via crescente. Ci sono addirittura alcune segnalazioni alla autorità giudiziaria. Infatti vengono anche impugnate avanti alla magistratura amministrativa le soglie di tolleranza adottate dall’Istituto Superiore di Sanità e a cascata dalla Regione Veneto. Nel frattempo sempre la Regione, con tanto di rassicurazioni fornite dall’assessore alla sanità Luca Coletto, aveva avviato una campagna di monitoraggio che andasse oltre il vaglio sulla contaminazione delle acque, prendendo in esame lo stato di salute degli alimenti. Il tutto avviene sotto la regia di una commissione ad hoc, la “Commissione tecnica regionale pfas” coordinata dalla Russo e che vede tra i componenti di punta Giovann Frison (direttore prevenzione e sanità pubblica) e Giorgio Cester (direttore sezione veterinaria e sicurezza alimentare).
ACCUSA
La riunione materialmente si è tenuta il 13 gennaio. Il verbale porta la data del 4 febbraio 2016 e il protocollo è il 44211. Vvox può anticiparne in esclusiva la copia integrale che, allegati a parte, consta di 6 pagine. Nel documento (alcuni brani del quale sono già finiti sul Fatto Quotidiano peraltro) le parole della Russo suonano come un vero e proprio j’accuse nei confronti della sezione sicurezza alimentare. Specialmente là dove la dirigente chiede come mai alle istituzioni pubbliche che si stanno interessando della materia, Istituto Superiore di Sanità in primis, «non siano stati trasmessi ufficialmente i rapporti di prova che rappresentano il riscontro oggettivo e legalmente valido dei risultati analitici dei controlli, base necessaria per qualunque intervento istituzionale». Anche perché, si lamenta sempre la Russo, tali informazioni sarebbero state inviate mediante una tabella «sintetica non firmata né datata». Un altro passaggio investe il direttore della sezione veterinaria, vale a dire il dottor Cester: «… non si comprende la motivazione» per cui «i campioni» sugli alimenti siano stati «prelevati in un arco temporale lungo che va da novembre 2014 a giugno 2015» mentre i risultati si sono avuti «tutti insieme a settembre 2015 senza tenere in considerazione il fatto che il referto relativo alla sostanza che può nuocere alla salute deve essere fatto subito dopo il campionamento perché potrebbe comportare la necessità di provvedimenti urgenti o di modifiche nel programma di campionamento stesso (…) Un tempo durante il quale la popolazione ha continuato ad assumere alimenti con concentrazioni critiche di pfas». In sequenza c’è un’altro rilievo, quello di Arpav, che fa presente che la mancanza «di un sistema organizzato e integrato di banche dati… rende estremamente complesso… applicare… gli strumenti di analisi… necessari… richiesti dalla normativa».
DIFESA
Dal canto suo Cester informa di avere trasmesso all’Iss i rapporti di prova «delle analisi sugli alimenti» condotti dall’Istituto Zooprofilattico regionale, noto anche come Izsve. Introduce il suo intervento rimarcando come «altre priorità come la diossina» richiedano attenzione spiegando poi che «ogni azienda Ulss coinvolta» abbia condotto «campionamenti a modo proprio senza stilare per ogni campione la scheda anagrafica» ad esso riferibile. Ma nella sua prolusione Cester afferma anche che le delibere regionali di riferimento (la 2611 del 30 dicembre 2013 e la 168 del 20 febbraio 2014) prevedevano l’obbligo di compilare appositi questionari per contestualizzare i risultati acquisiti, ma che tali questionari non siano stati «compilati dalle Ulss che hanno effettuato i prelievi» sugli alimenti. Infine, Cester dichiara «di non avere mai i rapporti di prova dei singoli alimenti» presi a campione, e ribadisce «che non avrebbe fatto comunque nulla per la mancanza di valori di riferimento ministeriali». Ammette che «i campioni sono stati analizzati tutti alla fine perché l’Izsve non aveva finanziamenti ad hoc, per cui i campioni sono stati congelati e poi analizzati». Si tratta di un passaggio delicatissimo che segue ad una domanda specifica della Russo, la quale si era chiesta come mai il direttore della Sezione alimentare, anche nel suo ruolo di ufficiale di autorità regionale competente «a seguito delle informazioni sui dati da lui stesso definiti critici sugli alimenti non abbia dato seguito ad azioni conseguenti». A pagina 5 del verbale l’ultimo botta e risposta tra Russo e Cester: quest’ultimo, incalzato dai colleghi affinché chiarisca se i campioni testati siano ancora rintracciabili, risponde pacificamente che non è stata data alcuna indicazione e che «non è in grado di garantire che i campioni non siano già stati eliminati». Poi afferma che gli alimenti più contaminati sono «pesci e uova» e che è preoccupato dal fatto che ci siano sul territorio allevamenti che si occupano di produzione e distribuzione «di tali alimenti a livello nazionale». Al che la Russo domanda a Cester se sia consapevole del «conseguente danno economico e di immagine che ne può derivare per la Regione Veneto».
SCONTRO
Un altro alto funzionario regionale in distacco da Arpav presso il settore sanità pubblica, la dottoressa Marina Vazzoler, definisce «poco spiegabile la ragione per cui i campioni e i risultati non siano stati trasmessi alla Regione». Così parte l’ennesima frecciata all’Istituto zooprofilattico quando si precisa che non è spiegabile che un ente strumentale regionale come l’Izsve «non avesse effettuato subito le analisi visto che trattasi di emergenza di sanità pubblica». L’altra bordata arriva dal direttore del settore ambiente, l’ingegnere Fabio Strazzabosco, il quale denuncia che non si è dato seguito ad azioni «di tutela della salute per le persone che hanno mangiato e stanno magiando alimenti con presenza di concentrazioni critiche… Non siamo in grado di avere – tuona Strazzabosco – un piano di controllo sugli alimenti valido… la tabella dei risultati senza contesto, spiegazioni e ufficialità… si presta ad interpretazioni scientifiche errate».
CASO POLITICO
E che quello dei derivati del fluoro, i cosiddetti pfas, sia un caso nazionale lo si era capito quando due anni e mezzo fa si delinearono i contorni del bacino potenzialmente colpito dalla contaminazione. Un bacino di 300-400mila persone. Sono gli stessi alti funzionari a rendersi conto che il monitoraggio sin qui condotto rischia di essere un flop. Sul fronte politico, a parte il consigliere regionale del Pd Andra Zanoni, sono addirittura i vertici del M5S, a partire dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, ad aver chiesto accesso agli atti per conoscere quali siano le evidenze in possesso dell’Iss. Interpellato, l’assessore all’ambiente, il leghista Giampaolo Bottacin, non prende posizione. Lo stesso dicasi per il suo collega alla sanità Coletto e per il governatore leghista Luca Zaia. Si attende risposta anche dai dirigenti menzionati nel verbale.
TOSSICITA’
Nel 2013 esplode il caso dei cosiddetti pfas, sostanze derivate dal fluoro impiegate in molti settori industriali. Queste sostanze, che sono altamente tossiche poiché interferiscono col sistema ghiandolare, vengono trovate in primis, ma non solo, lungo l’asta fluviale e lungo il sistema di falda dell’Agno Guà Fratta, fra le province di Verona e Vicenza. I primi riscontri come sorgente inquinante parlano della Miteni (in foto), una notissima azienda chimica di Trissino nel Vicentino. Ma nel frattempo si accendono le luci anche su altri comparti industriali, a partire dalla concia e dalla farmaceutica. Pur non essendoci limiti di legge precisi circa la presenza nell’ambiente di tali sostanze, il problema assume nei mesi un peso via via crescente. Ci sono addirittura alcune segnalazioni alla autorità giudiziaria. Infatti vengono anche impugnate avanti alla magistratura amministrativa le soglie di tolleranza adottate dall’Istituto Superiore di Sanità e a cascata dalla Regione Veneto. Nel frattempo sempre la Regione, con tanto di rassicurazioni fornite dall’assessore alla sanità Luca Coletto, aveva avviato una campagna di monitoraggio che andasse oltre il vaglio sulla contaminazione delle acque, prendendo in esame lo stato di salute degli alimenti. Il tutto avviene sotto la regia di una commissione ad hoc, la “Commissione tecnica regionale pfas” coordinata dalla Russo e che vede tra i componenti di punta Giovann Frison (direttore prevenzione e sanità pubblica) e Giorgio Cester (direttore sezione veterinaria e sicurezza alimentare).
ACCUSA
La riunione materialmente si è tenuta il 13 gennaio. Il verbale porta la data del 4 febbraio 2016 e il protocollo è il 44211. Vvox può anticiparne in esclusiva la copia integrale che, allegati a parte, consta di 6 pagine. Nel documento (alcuni brani del quale sono già finiti sul Fatto Quotidiano peraltro) le parole della Russo suonano come un vero e proprio j’accuse nei confronti della sezione sicurezza alimentare. Specialmente là dove la dirigente chiede come mai alle istituzioni pubbliche che si stanno interessando della materia, Istituto Superiore di Sanità in primis, «non siano stati trasmessi ufficialmente i rapporti di prova che rappresentano il riscontro oggettivo e legalmente valido dei risultati analitici dei controlli, base necessaria per qualunque intervento istituzionale». Anche perché, si lamenta sempre la Russo, tali informazioni sarebbero state inviate mediante una tabella «sintetica non firmata né datata». Un altro passaggio investe il direttore della sezione veterinaria, vale a dire il dottor Cester: «… non si comprende la motivazione» per cui «i campioni» sugli alimenti siano stati «prelevati in un arco temporale lungo che va da novembre 2014 a giugno 2015» mentre i risultati si sono avuti «tutti insieme a settembre 2015 senza tenere in considerazione il fatto che il referto relativo alla sostanza che può nuocere alla salute deve essere fatto subito dopo il campionamento perché potrebbe comportare la necessità di provvedimenti urgenti o di modifiche nel programma di campionamento stesso (…) Un tempo durante il quale la popolazione ha continuato ad assumere alimenti con concentrazioni critiche di pfas». In sequenza c’è un’altro rilievo, quello di Arpav, che fa presente che la mancanza «di un sistema organizzato e integrato di banche dati… rende estremamente complesso… applicare… gli strumenti di analisi… necessari… richiesti dalla normativa».
DIFESA
Dal canto suo Cester informa di avere trasmesso all’Iss i rapporti di prova «delle analisi sugli alimenti» condotti dall’Istituto Zooprofilattico regionale, noto anche come Izsve. Introduce il suo intervento rimarcando come «altre priorità come la diossina» richiedano attenzione spiegando poi che «ogni azienda Ulss coinvolta» abbia condotto «campionamenti a modo proprio senza stilare per ogni campione la scheda anagrafica» ad esso riferibile. Ma nella sua prolusione Cester afferma anche che le delibere regionali di riferimento (la 2611 del 30 dicembre 2013 e la 168 del 20 febbraio 2014) prevedevano l’obbligo di compilare appositi questionari per contestualizzare i risultati acquisiti, ma che tali questionari non siano stati «compilati dalle Ulss che hanno effettuato i prelievi» sugli alimenti. Infine, Cester dichiara «di non avere mai i rapporti di prova dei singoli alimenti» presi a campione, e ribadisce «che non avrebbe fatto comunque nulla per la mancanza di valori di riferimento ministeriali». Ammette che «i campioni sono stati analizzati tutti alla fine perché l’Izsve non aveva finanziamenti ad hoc, per cui i campioni sono stati congelati e poi analizzati». Si tratta di un passaggio delicatissimo che segue ad una domanda specifica della Russo, la quale si era chiesta come mai il direttore della Sezione alimentare, anche nel suo ruolo di ufficiale di autorità regionale competente «a seguito delle informazioni sui dati da lui stesso definiti critici sugli alimenti non abbia dato seguito ad azioni conseguenti». A pagina 5 del verbale l’ultimo botta e risposta tra Russo e Cester: quest’ultimo, incalzato dai colleghi affinché chiarisca se i campioni testati siano ancora rintracciabili, risponde pacificamente che non è stata data alcuna indicazione e che «non è in grado di garantire che i campioni non siano già stati eliminati». Poi afferma che gli alimenti più contaminati sono «pesci e uova» e che è preoccupato dal fatto che ci siano sul territorio allevamenti che si occupano di produzione e distribuzione «di tali alimenti a livello nazionale». Al che la Russo domanda a Cester se sia consapevole del «conseguente danno economico e di immagine che ne può derivare per la Regione Veneto».
SCONTRO
Un altro alto funzionario regionale in distacco da Arpav presso il settore sanità pubblica, la dottoressa Marina Vazzoler, definisce «poco spiegabile la ragione per cui i campioni e i risultati non siano stati trasmessi alla Regione». Così parte l’ennesima frecciata all’Istituto zooprofilattico quando si precisa che non è spiegabile che un ente strumentale regionale come l’Izsve «non avesse effettuato subito le analisi visto che trattasi di emergenza di sanità pubblica». L’altra bordata arriva dal direttore del settore ambiente, l’ingegnere Fabio Strazzabosco, il quale denuncia che non si è dato seguito ad azioni «di tutela della salute per le persone che hanno mangiato e stanno magiando alimenti con presenza di concentrazioni critiche… Non siamo in grado di avere – tuona Strazzabosco – un piano di controllo sugli alimenti valido… la tabella dei risultati senza contesto, spiegazioni e ufficialità… si presta ad interpretazioni scientifiche errate».
CASO POLITICO
E che quello dei derivati del fluoro, i cosiddetti pfas, sia un caso nazionale lo si era capito quando due anni e mezzo fa si delinearono i contorni del bacino potenzialmente colpito dalla contaminazione. Un bacino di 300-400mila persone. Sono gli stessi alti funzionari a rendersi conto che il monitoraggio sin qui condotto rischia di essere un flop. Sul fronte politico, a parte il consigliere regionale del Pd Andra Zanoni, sono addirittura i vertici del M5S, a partire dal vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, ad aver chiesto accesso agli atti per conoscere quali siano le evidenze in possesso dell’Iss. Interpellato, l’assessore all’ambiente, il leghista Giampaolo Bottacin, non prende posizione. Lo stesso dicasi per il suo collega alla sanità Coletto e per il governatore leghista Luca Zaia. Si attende risposta anche dai dirigenti menzionati nel verbale.