a rischio l’inchiesta
VICENZA Inchiesta Pfas, dalle premesse pare arduo arrivare ad inchiodare penalmente i responsabili dell’inquinamento. «Colpa» dei tempi di prescrizione e di strumenti legislativi troppo recenti. E il primo a mostrare del pessimismo s emb r a p r o p r i o i l procuratore capo Antonino Cappelleri che ieri ha dato alcuni aggiornamenti sull’inchiesta, per quanto ancora in fase embrionale. Pochi elementi che tracciano già la panoramica, che sembra godere di limitate prospettive. Cappelleri ha fatto sapere infatti che le sostanze sversate di recente nelle nostre acque non sono qualificate come inquinanti in quanto non inserite nelle relative tabelle. Il che precluderebbe la possibilità di poter procedere con l’ipotesi di disastro ambientale, reato questo che prevede pene dai 5 ai 15 anni ma esiste solo dal maggio del 2015, ovvero da quando è entrata in vigore la legge numero 68 in materia di delitti contro l’ambiente. E, da precisare, non si tratta di una legge con effetto retroattivo, il che significa che non potranno essere puniti per disastro ambientale i comportamenti antecedenti, quando cioè il reato non era previsto.
Ciò non significa che non si possa procedere. Se, come riporta il procuratore capo Antonino Cappelleri, il rilascio delle sostanze inquinanti Pfas nelle falde acquifere del territorio è avvenuto prima che venisse varata dal Parlamento la nuova normativa, vorrà dire che si procederà per il reato previsto dalla vecchia normativa, e cioè il disastro colposo, quello che era stato iscritto dal pubblico ministero Luigi Salvadori nel fascicolo aperto più di un anno fa e che ora è passato di mano alla collega Barbara De Munari. Ma anche qui il lavoro della procura sembra essere tutto in salita perché la prescrizione è dietro l’angolo. E si fa presto a fare i conti. Se l’azienda indicata come possibile origine della contaminazione delle falde acquifere, la Miteni di Trissino, sostiene di non produrre Pfos e Pfoa dal 2011, il reato, considerato il lasso di tempo già trascorso, andrebbe verso la cancellazione. La prescrizione per gli eventuali reati ambientali avviene infatti in un periodo massimo di sette anni e mezzo. Quindi, se davvero dovesse avverarsi questo quadro, considerando poi i tempi della giustizia, alle persone danneggiate non rimarrebbe altro che la strada della causa civile.
Quantomeno nella prospettiva di ottenere qualche riconoscimento del danno patito (che dovrà essere dimostrato) in termini economici. Così come hanno fatto negli anni scorsi i cittadini dell’Ohio, negli Usa, che con una class action portarono in tribunale la multinazionale Dupont, accusata di aver immesso nel fiume Ohio quantità considerevoli di Pfoa (che fanno parte dei Pfas) e che per questo fu condannata a pagare, nel 2005, oltre 330 milioni di dollari di risarcimenti. Circa 70mila vennero utilizzati per un’indagine epidemiologica, una delle poche, se non l’unica ad oggi relativa alla correlazione tra inquinante e malattie. A voler avviare una class action contro la Miteni spa di Trissino, indicata dall’Arpav quale sorgente dell’inquinamento da Pfas ma anche contro la Regione Veneto per non aver tempestivamente provveduto alla tutela della popolazione e dell’ambiente è la neonata associazione «Terra dei Pfas» che si è costituita nei giorni scorsi a Padova. Associazione che può contare sull’appoggio di un buon numero di avvocati che stanno indicando la strada da percorrere per cercare di rivalersi sui teorici responsabili dell’inquinamento nell’area tra Vicentino, Veronese e Padovano.