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IL MAXI INQUINAMENTO

Pfas, i carabinieri accusano la Miteni
«Sapevano e hanno taciuto, gravi rischi»

L’azienda si difende: «Sempre stati trasparenti»

TRISSINO (VICENZA) Da almeno 27 anni Miteni sa che alcune sostanze fuoriuscite dal suo stabilimento di Trissino hanno inquinato l’Ovest Vicentino. E già nel 2008 aveva scoperto la presenza di Pfas nella falda, quindi cinque anni prima che lo studio del Cnr lanciasse l’allarme sulla maxi-contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche che mette a rischio 127 mila persone residenti tra le province di Vicenza e Verona. Sapeva e ha taciuto. Questa, in sintesi, la relazione che il Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri di Treviso ha consegnato martedì a Ministero dell’Ambiente, Regione e Provincia, oltre che alla procura di Vicenza titolare dell’inchiesta per adulterazione dell’acqua e inquinamento ambientale che vede iscritti nel registro degli indagati nove manager, compresi l’amministratore delegato Antonio Nardone e il presidente Brian McGlynn.
Trentuno pagine (e altri 110 documenti allegati) che sembrano inchiodare lo stabilimento che oggi fa capo alla multinazionale tedesca International Chemical Investors. I carabinieri sono partiti dall’analisi del materiale sequestrato l’8 marzo, nel corso della perquisizione condotta all’interno della sede. «Dagli accertamenti eseguiti – si legge nella relazione – è emerso che Miteni, negli anni 1990, 1996, 2004, 2008 e 2009, ha incaricato società di consulenza leader nel settore ambientale di effettuare indagini finalizzate a valutare lo stato di inquinamento del sito e a fornire possibili soluzioni per il confinamento della contaminazione rilevata». E fu proprio attraverso quelle indagini, che emerse la contaminazione dell’area. «Dal 1990 al 2009 – prosegue il Noe – è stato rilevato un inquinamento del suolo e della falda, soprattutto da composti della famiglia benzotrifluoruri (utilizzati in campo farmaceutico e agricolo, ndr) (…) In aggiunta, nel 2008 e nel 2009 sono state rilevate anche concentrazioni significative di Pfoa nelle acque di falda e nei terreni». Ebbene, nonostante avesse «l’obbligo giuridico di comunicare agli enti competenti le risultanze emerse», Miteni «sino a oggi non ha mai trasmesso le indagini». Il motivo per cui la società abbia tenuto nascosto l’avvelenamento non è chiaro, ma i carabinieri fanno notare che, se avesse rivelato i risultati delle analisi, «la ditta avrebbe dovuto sostenere una ingente spesa per la rimozione e lo smaltimento del terreno contaminato, oltre alla necessità di smantellare parte dell’impianto produttivo».
Per gli investigatori si tratta di una «condotta omissiva iniziata nel 1990 e proseguita sino a oggi » le cui conseguenze sono devastanti: «Ha comportato che l’inquinamento da Pfas – e forse anche altre sostanze non indagate come verosimilmente i benzotrifluoruri – si propagasse nella falda a chilometri di distanza provocando il deterioramento dell’ambiente, dell’ecosistema, nonché probabili ricadute sulla salute della popolazione residente che per anni potrebbe aver assunto inconsapevolmente acqua contaminata». La fuoriuscita di sostanze pericolose nell’area è probabilmente avvenuta in fasi diverse. Come nel 1976, quando lo stabilimento – all’epoca gestito da Ricerche Marzotto – «fu teatro di un serio incidente che provocò lo sversamento nel terreno e nella falda di inquinanti provenienti dai processi produttivi». Ma il risultato – sottolineano i carabinieri – è che «il protrarsi della contaminazione potrebbe comportare gravi rischi per la salute umana oltre all’aggravamento del danno ambientale». Dal fronte opposto, secondo Miteni la relazione contiene «informazioni così parziali da essere palesemente contraddette dai fatti». In una nota, ribadisce «che l’operato dell’attuale proprietà è stato sempre improntato alla massima trasparenza. Quando nel 2013 abbiamo effettuato la caratterizzazione dell’area abbiamo prontamente informato le autorità per la presenza di sostanze nella falda».
La società nega anche di essere stata a conoscenza dell’inquinamento dei terreni: «Quelli interni allo stabilimento sono stati ispezionati negli ultimi tre anni con la supervisione di Arpav facendo oltre 70 prelievi a una profondità fino a 30 metri, fino al limite della falda, senza riscontrare alcuna contaminazione o rifiuto». Ma per il sottosegretario all’Ambiente, Barbara Degani, dalla relazione emergono «particolari inquietanti» e bolla come «sicuramente grave che gli studi non siano mai stati comunicati agli enti preposti». Anche il presidente della Provincia di Vicenza, Achille Variati, parla di «fatto che, se confermato, sarebbe gravissimo » anche perché «alimenta la già preoccupazione per il fenomeno dell’inquinamento». La relazione dei carabinieri ha spinto la Regione a convocare per oggi un vertice con Provincia e Comune di Trissino. L’ipotesi sul tavolo è che il procedimento amministrativo di bonifica passi direttamente sotto il controllo di Palazzo Balbi. «Andremo fino in fondo – assicura il governatore Luca Zaia – perché le domande di verità, salute e trasparenza trovino risposte coerenti e certe».

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Andrea Priante