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Inquinamento da PFAS: uno dei più grandi disastri ambientali del Veneto? Il convegno di ieri, 17 dicembre, ha fatto chiarezza, ma la politica ha disertato in massa

Di Pietro Rossi | Venerdi 18 Dicembre alle 15:13 | 0 commenti

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Si è svolto ieri a Cologna Veneta il convegno sui PFAS, organizzato dal Coordinamento Acqua Libera dai PFAS in collaborazione con il Circolo Legambiente Perla Blu. Si è dunque parlato di PFAS, ovvero sostanze perfluoroalchiliche. Un nome che detto così magari può risultare sconosciuto ai più ma che invece indica una serie di composti ampiamente usati nell’industria tessile e per la produzione di utensili domestici. I PFAS potrebbero essere responsabili di uno dei più significativi disastri ambientali della nostra regione. Queste sostanze, che possono causare molte gravi malattie, sono state trovate in una quantità rilevante in uova, carni, pesci e ortaggi. E questo a causa dell’inquinamento delle falde acquifere dovuto agli scarti di lavorazione delle sostanze, la cui possibile origine è l’azienda Miteni di Trissino, produttrice di PFAS fin dalla fine degli anni ’70.

Al convegno, che ha visto una nutrita partecipazione di pubblico – più di 200 persone – nonostante i molti inviti degli organizzatori alle rappresentanze sanitarie e politiche del territorio, si sono presentati solo due consiglieri regionali: Cristina Guarda, della Lista Moretti, e Manuel Brusco, del Movimento 5 Stelle, entrambi componenti della Commissione Ambiente in Regione. Assenti, invece, politici regionali, rappresentanti delle Ulss e molti sindaci dei Comuni – un centinaio tra le province di Vicenza, Padova e Verona – interessati dal presunto disastro ambientale.
Si dice presunto solo per zelo giornalistico ma in realtà sono molte le argomentazioni, portate dai relatori al convegno: Piergiorgio Boscagin, uno dei coordinatori di Acque Libere; Dario Muraro, cittadino di Brendola (uno dei Comuni interessati dal problema); Gianni Tamino, biologo dell’università di Padova; il dottor Vincenzo Cordiano, medico dell’ospedale di Valdagno e presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente della provincia di Vicenza e Luca Cecchi, portavoce Acqua Bene Comune Verona.
La “mappa dei veleni” della Regione Veneto è stata spiegata in maniera approfondita del professor Tamino, attraverso un excursus su 50 anni di inquinamento nella nostra Regione, nella quale i PFAS sono solo l’ultimo capitolo. Un capitolo che però ha aggiunto una triste casistica alla “peste” chimica che danni ammorba questa parte di nordest. L’indagine esposta da Vincenzo Cordiano ha evidenziato come i risultati del monitoraggio dei PFAS nella catena alimentare abbiano rivelato un inquinamento degli alimenti di consumo, oltre che dell’acqua potabile. Di  particolare rilevanza, ad esempio, la presenza nell’acqua del PFOS, un componente nocivo messo fuori norma fin dal 2002. Queste sostante, oltre a essere dichiarate pericolose anche a livello di trasformazione cellulare (dati forniti dall’Istituto Superiore della Sanità e dal Ministero della Salute), sono persistenti nell’ambiente e probabilmente impossibili da bonificare completamente. Ma se le indagini epidemiologiche sono state condotte su animali, con riscontro di alcune gravi patologie, per quanto riguarda gli esseri umani si non limitate a un campione di solo 140 persone residenti in due Ulls, Arzignano e Vicenza. E i cui risultati sono ancora sconosciuti.
I PFAS, prodotti principalmente dall’azienda Miteni di Trissino, sono composti chimici che rendono le superfici impermeabili all’acqua. Usati per esempio nel marchio commerciale Goretex e in quello industriale Teflon oppure per produrre fibre antimacchia o, ancora, presenti nelle cere per pavimenti e nella carta da forno, non si decompongono e entrano nel ciclo vitale di flora e fauna. A quanto sembra sono presenti in maniera importante sia negli acquedotti che nelle falde acquifere di un’area di 150 km quadrati compresa tra le provincie di Vicenza, Verona e Padova, in cui vive una popolazione di circa 300 mila abitanti. L’Istituto Superiore della Sanità indica che esiste una associazione probabile tra questi composti e malattie quali il tumore del testicolo e del rene, l’ipertensione nella gravidanza e le malattie tiroidee. L’Associazione Medici per l’Ambiente aggiunge inoltre che probabilmente le PFAS possono causare malattie cardovascolari, ictus, diabete, leucemie e infertilità maschile e femminile.
Una situazione che richiederebbe quantomeno un intervento più approfondito e un allineamento più consono ad altri paesi in cui esiste una regolamentazione ben precisa sulla produzione PFAS e sul loro uso. La richiesta dei comitati è proprio quella di arrivare a una legge ambientale che imponga limiti molto bassi o nulli alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle falde ma anche che gli acquedotti che prelevano acqua da pozzi inquinati vengano allacciati a fonti non contaminate. In sostanza, ad oggi, non esiste ancora una regolamentazione precisa a livello statale e regionale sulla emissione di tali sostanze. Per questo il Coordinamento Acqua Libera dai PFAS ha lanciato una campagna con raccolta firme (ieri ne sono state raccolte un centinaio) per due petizioni su questi temi.
“La serata ha ribadito ancora una volta quanto è grave la situazione – ha sottolineato Boscagin – speriamo che la politica si muova, perché sono loro che dovrebbero agire senza soluzioni tampone come i filtri sugli acquedotti e facendo pagare chi ha inquinato e non la popolazione”. Gli unici due rappresentanti (ma dell’opposizione) del consiglio Regionale Veneto hanno assicurato di portare queste istanze in maniera più forte nella commissione ambiente della Regione Veneto. “Di proclami ne abbiamo sentiti tanti – ha concluso Boscagin – adesso ci aspettiamo quantomeno un’indagine epidiemologica su tutta la popolazione non su di un campione insignificante di 140 persone”.
A parte i filtri a carboni attivi che trattengono i PFAS, introdotti negli acquedotti di alcuni Comuni e considerati poco efficaci in quanto sarebbe invece necessaria una bonifica radicale, l’unica indicazione data dalla legge è quella delle “performance”, ovvero il rispetto di valori guida – ma non vincolanti – a rappresentare requisiti minimi di sicurezza. D’altra parte è abbastanza scontato intuire gli interessi economici che possono esserci sotto a dei comparti produttivi composti da lobby ancora molto potenti come quelli della chimica e del tessile. E in effetti una risposta sull’interessamento da parte dei rappresentanti di tutte le forze politiche Regionali e tutti i membri della Commissione Ambiente e Territorio della Regione Veneto c’è stata. La risposta peggiore: quella dell’assenza.
Nota di redazione: Pietro Rossi ha moderato il convegno di ieri 17 dicembre 2015 a Cologna Veneta “Inquinamento delle falde acquifere da PFAS: un disastro ambientale?” . Il video della serata sarà a breve disponibile su questo giornale.