Emergenza Pfas nelle acque, i cittadini veneti dovranno pagare in bolletta i costi di depurazione

Emergenza Pfas nelle acque, i cittadini veneti dovranno pagare in bolletta i costi di depurazione

Ambiente & Veleni
Per distribuire nelle case acqua di rubinetto con livelli di sostanze perfluoro-alchiliche adeguati, i gestori del servizio idrico delle province di Verona, Vicenza e Padova devono sostenere investimenti rilevanti. Così le spese saranno addebitate ai consumatori

di | 13 giugno 2016

    Più informazioni su: Acqua, Inquinamento, Pfas Veneto

    L’azienda inquina, i cittadini pagano. Nelle province venete colpite dall’emergenza Pfas nelle acque, gli utenti del servizio idrico saranno costretti a pagare di tasca propria i costi di depurazione e di monitoraggio degli inquinanti che secondo l’informativa Arpav dell’8 luglio 2013 sono riconducibili “prevalentemente allo scarico industriale della ditta Miteni spa”. La notizia è emersa nel corso dell’audizione del direttore generale dell’azienda Acque del Chiampo, Alberto Piccoli, di fronte alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti. Per distribuire nelle case dei veneti acqua di rubinetto con livelli di sostanze perfluoro-alchiliche adeguati agli “obiettivi di performance” indicati dall’Istituto superiore di Sanità, i gestori del servizio idrico delle province di Verona, Vicenza e Padova devono sostenere investimenti rilevanti per l’abbattimento continuo dei Pfas con i filtri a carboni attivi e per le sofisticate analisi al nanogrammo sui microinquinanti. E le spese sostenute per le operazioni vengono scaricate in bolletta, che aumenterà di quasi il doppio in quanto i costi “potrebbero incidere per il 2 o 3 per cento della tariffa – ha spiegato al Parlamento il direttore dell’azienda Acque del Chiampo – che si attesterebbe non più al 4,5 per cento attuale, ma all’8 per cento”.
    È così che la popolazione del Veneto avvelenata dalle sostanze perfluoro-alchiliche, in assenza di un responsabile individuato dalla magistratura, sarà costretta a pagarsi la depurazione dei pericolosi composti che negli ultimi trent’anni hanno provocato, secondo uno studio congiunto Enea-Isde, almeno 1260 morti in più di quelle attese. Nel luglio 2013 l’Arpav aveva indicato alla magistratura come fonte dell’inquinamento la ditta Miteni di Trìssino, che ha prodotto Pfas per quarant’anni nello stabilimento vicentino. Ma l’azienda non è mai stata indagata dalla Procura di Vicenza, che ha proceduto contro ignoti, e l’inchiesta è stata archiviata nel luglio 2014. “Abbiamo presentato una richiesta di risarcimento danni alla ditta che Arpav ritiene sia la principale, se non l’unica, fonte di contaminazione da Pfas – spiega alla Commissione rifiuti il gestore idrico della Valle del Chiampo – ma il 1 aprile 2016 Miteni respingeva fermamente le richieste avanzate, riservandosi addirittura di agire nei confronti della società per danno all’immagine”.
    Gli investimenti complessivi del gestore Acque del Chiampo, che si aggirano intorno ai 2,4 milioni di euro (più 98 mila euro all’anno per la depurazione finché non verranno trovate fonti alternative) verranno così addebitati agli utenti in bolletta “salvo interventi straordinari”. A mitigare i costi a carico dei cittadini potrebbe intervenire lo stanziamento speciale chiesto dalla regione Veneto al governo, circa 100 milioni per “interventi strutturali” che verranno comunque sempre dalla contribuzione generale. Il Centro Veneto Servizi ad esempio, che gestisce il servizio idrico in 59 comuni tra le province di Padova e Vicenza (circa 250 mila persone), ha programmato interventi strutturali per 30 milioni di euro “per portare acqua non trattata dalle risorgive del Brenta verso la zona del montagnanese e ad alcuni comuni del vicentino”. Mentre Acque Vicentine e Acque Veronesi, le società che servono anche i capoluoghi di provincia Vicenza e Verona, hanno pianificato interventi rispettivamente per 2,3 e per 90 milioni di euro.
    La città di Vicenza ha dovuto chiudere “il solo pozzo Scaligeri nella zona industriale ovest” mentre “per il resto – assicura il gestore – non c’è più nessuna contaminazione nella rete”.
    Nel veronese invece si sta studiando una grande opera per far arrivare a 27 comuni acqua non contaminata “a est di Verona, con un’adduttrice fino a Madonna di Lonigo per circa 44 chilometri” proveniente dalla falda che rifornisce la città di Verona “dove distribuiamo – rassicura il dg di Acque Veronesi, Francesco Berton – acqua tal quale, un’acqua buonissima”. I quattro gestori del servizio idrico del Veneto hanno chiesto il risarcimento dei danni alla fabbrica Miteni, depositando perizie di consulenti idrogeologici. Intanto, il conto per la depurazione dell’acqua e il ripristino delle risorse idriche lo pagheranno gli avvelenati.