Davide Sandini sull’inquinamento da PFAS
Il messaggio è lungo, ma vi prego di leggerlo
La contaminazione da PFAS nelle acque di falda dell’ovest vicentino e padovano hanno messo in fibrillazione cittadini, amministrazioni di tutti i livelli, USL, che finalmente sembrano rendersi conto di un caso pluridecennale di inquinamento inspiegatamente taciuto e seppellito sotto le ghiaie del conoide alluvionale del Guà.
In questa zona, nel greto del Poscola, affluente di sinistra del Guà, per decenni sono stati scaricati residui di sostanze di cui ancora non si conoscono bene gli effetti, ma che penetrando le ghiaie permeabili del Guà hanno raggiunto, a decine di km di distanza, concentrazioni tali che le acque di falda non sono adatte neanche a lavare le stoviglie di casa.
Alcuni comuni hanno imposto la dismissione dei pozzi pubblici e privati, ed altri stanno valutando la cosa, ed è in corso il tentativo di approvvigionarsi di acqua da altri pozzi ritenuti più sicuri.
A questo punto, per quelle che sono le mie conoscenze di quasi una decina di anni relativamente al sistema idraulico dell’ Agno- Guà, ritengo di poter mettere in guardia amministrazioni e cittadini rispetto ai tentativi di limitare i danni attualmente in corso:
Non entro nel merito dell’opportunità o meno di evitare l’uso dell’acqua inquinata; potrebbe essere tardi, ma forse è un compito necessario. Bloccare improvvisamente il prelievo di acque di falda dalla zona inquinata pero’ potrebbe portare ad effetti ancora non valutati e potenzialmente devastanti.
La zona in questione è infatti caratterizzata da un falda acquifera in costante movimento, sia in direzione nord-sud dalle zone di ricarica, a monte di Trissino, fino alle zone di risorgiva del Retrone fra Sovizzo e Creazzo, che a quelle del Brendola a Vo’, e nella falda acquifera più a valle fino a Montagnana. In movimento anche in senso verticale con escursioni fra le stagioni piovose e quelle secche di parecchi metri.
Il prelievo di acque dalla falda, operato da decenni nella zona ha per sua natura operato una modifica al moto di questo fiume sotterraneo, ora si sa inquinato, causandone una depressione rispetto al livello che esso avrebbe avuto senza questo prelievo.
Ogni pozzo in una falda freatica da cui si estrae acqua causa infatti quello che viene definito “cono di depressione” cioè un abbassamento del livello di falda , progressivamente ridotto a mano a mano che ci si allontana dal pozzo stesso. Anche un pozzo in un falda artesiana causa una diminuzione della pressione all’intorno della zona di estrazione.
L’effetto di queste depressioni è di richiamare acqua dall’intorno verso il punto di estrazione, movimento che si va ad aggiungere ed ad interferire con i normali movimenti dell’acqua nel sottosuolo.
Abbandonare immediatamente l’estrazione da una zona a causa del fatto che l’acqua è inquinata, ed aumentare magari l’estrazione dalle zone limitrofe ritenute meno inquinate, porterà quasi sicuramente ad uno spostamento dei flussi sotterranei di acqua ed inquinanti verso queste zone, ed in breve tempo questo farà espandere la zona inquinata ed ad abbandonare altri pozzi non piu’ utilizzabili.
L’effetto, invece di ridurre l’inquinamento porterà ad espanderlo in zone ora sicure, e questo non può e non deve essere fatto.
A mio avviso l’attuale tasso di prelievo dalle falde deve essere mantenuto, almeno fino a che non si sia indagato a fondo sull’effetto ottenibile, e possibilmente non si sia provveduto a intercettare l’acqua sotterranea prima che venga inquinata, e non si sia provveduto ad iniziare l’estrazione degli inquinanti dalle zone più compromesse.
L’abbandono dei pozzi non può essere effettuato semplicemente smettendo di utilizzarli, perché essi devono essere sigillati per evitare che la contaminazione possa passare da una falda all’altra durante i cambiamenti di pressione che il sistema sotterraneo sperimenterà nel futuro, e per evitare che in caso di alluvione o corrosione dei tubi in metallo possano permetter il mescolamento di acqua fra i vari livelli e la superficie.
I motori elettrici delle pompe dovrebbero essere smaltiti in modo corretto e non tombati nei pozzi.
Il costo di tali operazioni dovrebbe essere sostenuto dal settore pubblico, per evitare che i privati siano caricati anche di questo fardello, oltre ad avere perso l’investimento del pozzo.
Il secondo problema che voglio segnalare è relativo all’influsso che il costruendo bacino di Trissino avrà sulla circolazione delle acque di falda.
Nei documenti di progetto esiste una sezione denominata “Studio Idrologico”nella quale, basandosi su un modello idrologico della valle e del suo sottosuolo, si dimostrerebbe che la costruzione del bacino non avrebbe nessun influsso negativo per guanto riguarda l’aumento di livello dell’acqua che tanti disagi ha causato negli ultimi anni ai cittadini di Tezze e Trissino. In tale studio si dichiara che, con in bacino realizzato, il livello dell’acqua nel sottosuolo sarebbe addirittura più basso di quello senza il bacino.
A parte ogni critica che si possa sollevare contro la simulazione, evidentemente basata su un modello grezzo e stranamente favorevole al risultato sperato dai promotori e progettisti, la stessa è certamente differente da ogni ragionevole ipotesi sull’andamento delle zone permeabili nel sottosuolo.
Si deve considerare che un tale effetto potrebbe mobilizzare gli inquinanti (la cui fonte è a meno di 800m ad est del bacino, alla stessa quota), e farli spostare verso il lato ovest della valle, in territorio di Trissino marginalmente ed in quello di Arzignano e Montecchio più a valle, oppure accelerarne il già rapido dilavamento aumentando la velocità dei flussi sotterranei.
Un secondo effetto, potrebbe essere invece quello di drenare la falda sotterranea dalla zona inquinata verso l’alveo del Guà, a causa dell’abbassamento dello stesso alveo ottenuto per realizzare il progettato Bacino.
In questo caso anche le parti a sud del comune di Trissino sarebbero esposte ad un inquinamento da PFAS.
Faccio notare che la seconda ipotesi è quella sottintesa dai documenti dello stesso progetto, e ribadita anche dai politici interpellati a proposito degli allagamenti avvenuti nel 2013 e 2014, quando prospettavano che la costruzione del bacino avrebbe limitato gli allagamenti.
La mia ipotesi è invece che l’effetto complessivo del bacino potrebbe essere una combinazione dei due prospettati sopra, portando un aumento dell’infiltrazione negli anni piovosi, ed un drenaggio degli inquinanti verso l’alveo del Guà negli anni siccitosi, con un complessivo aumento della dispersione degli inquinanti.
I miei suggerimenti, indirizzati principalmente ai proprietari di pozzi attualmente con livelli accettabili di PFAS, è di chiedere immediatamente:
la continuazione dell’estrazione di acqua nelle zone inquinate
l’immediato stop al progetto del bacino di laminazione
una analisi idrologica affidata ad organismi esterni rispetto a quelli coinvolti nei progetti in questione.
Un programma di monitoraggio dei pozzi anche negli anni successivi, a spese di chi ha inquinato
La contaminazione da PFAS nelle acque di falda dell’ovest vicentino e padovano hanno messo in fibrillazione cittadini, amministrazioni di tutti i livelli, USL, che finalmente sembrano rendersi conto di un caso pluridecennale di inquinamento inspiegatamente taciuto e seppellito sotto le ghiaie del conoide alluvionale del Guà.
In questa zona, nel greto del Poscola, affluente di sinistra del Guà, per decenni sono stati scaricati residui di sostanze di cui ancora non si conoscono bene gli effetti, ma che penetrando le ghiaie permeabili del Guà hanno raggiunto, a decine di km di distanza, concentrazioni tali che le acque di falda non sono adatte neanche a lavare le stoviglie di casa.
Alcuni comuni hanno imposto la dismissione dei pozzi pubblici e privati, ed altri stanno valutando la cosa, ed è in corso il tentativo di approvvigionarsi di acqua da altri pozzi ritenuti più sicuri.
A questo punto, per quelle che sono le mie conoscenze di quasi una decina di anni relativamente al sistema idraulico dell’ Agno- Guà, ritengo di poter mettere in guardia amministrazioni e cittadini rispetto ai tentativi di limitare i danni attualmente in corso:
Non entro nel merito dell’opportunità o meno di evitare l’uso dell’acqua inquinata; potrebbe essere tardi, ma forse è un compito necessario. Bloccare improvvisamente il prelievo di acque di falda dalla zona inquinata pero’ potrebbe portare ad effetti ancora non valutati e potenzialmente devastanti.
La zona in questione è infatti caratterizzata da un falda acquifera in costante movimento, sia in direzione nord-sud dalle zone di ricarica, a monte di Trissino, fino alle zone di risorgiva del Retrone fra Sovizzo e Creazzo, che a quelle del Brendola a Vo’, e nella falda acquifera più a valle fino a Montagnana. In movimento anche in senso verticale con escursioni fra le stagioni piovose e quelle secche di parecchi metri.
Il prelievo di acque dalla falda, operato da decenni nella zona ha per sua natura operato una modifica al moto di questo fiume sotterraneo, ora si sa inquinato, causandone una depressione rispetto al livello che esso avrebbe avuto senza questo prelievo.
Ogni pozzo in una falda freatica da cui si estrae acqua causa infatti quello che viene definito “cono di depressione” cioè un abbassamento del livello di falda , progressivamente ridotto a mano a mano che ci si allontana dal pozzo stesso. Anche un pozzo in un falda artesiana causa una diminuzione della pressione all’intorno della zona di estrazione.
L’effetto di queste depressioni è di richiamare acqua dall’intorno verso il punto di estrazione, movimento che si va ad aggiungere ed ad interferire con i normali movimenti dell’acqua nel sottosuolo.
Abbandonare immediatamente l’estrazione da una zona a causa del fatto che l’acqua è inquinata, ed aumentare magari l’estrazione dalle zone limitrofe ritenute meno inquinate, porterà quasi sicuramente ad uno spostamento dei flussi sotterranei di acqua ed inquinanti verso queste zone, ed in breve tempo questo farà espandere la zona inquinata ed ad abbandonare altri pozzi non piu’ utilizzabili.
L’effetto, invece di ridurre l’inquinamento porterà ad espanderlo in zone ora sicure, e questo non può e non deve essere fatto.
A mio avviso l’attuale tasso di prelievo dalle falde deve essere mantenuto, almeno fino a che non si sia indagato a fondo sull’effetto ottenibile, e possibilmente non si sia provveduto a intercettare l’acqua sotterranea prima che venga inquinata, e non si sia provveduto ad iniziare l’estrazione degli inquinanti dalle zone più compromesse.
L’abbandono dei pozzi non può essere effettuato semplicemente smettendo di utilizzarli, perché essi devono essere sigillati per evitare che la contaminazione possa passare da una falda all’altra durante i cambiamenti di pressione che il sistema sotterraneo sperimenterà nel futuro, e per evitare che in caso di alluvione o corrosione dei tubi in metallo possano permetter il mescolamento di acqua fra i vari livelli e la superficie.
I motori elettrici delle pompe dovrebbero essere smaltiti in modo corretto e non tombati nei pozzi.
Il costo di tali operazioni dovrebbe essere sostenuto dal settore pubblico, per evitare che i privati siano caricati anche di questo fardello, oltre ad avere perso l’investimento del pozzo.
Il secondo problema che voglio segnalare è relativo all’influsso che il costruendo bacino di Trissino avrà sulla circolazione delle acque di falda.
Nei documenti di progetto esiste una sezione denominata “Studio Idrologico”nella quale, basandosi su un modello idrologico della valle e del suo sottosuolo, si dimostrerebbe che la costruzione del bacino non avrebbe nessun influsso negativo per guanto riguarda l’aumento di livello dell’acqua che tanti disagi ha causato negli ultimi anni ai cittadini di Tezze e Trissino. In tale studio si dichiara che, con in bacino realizzato, il livello dell’acqua nel sottosuolo sarebbe addirittura più basso di quello senza il bacino.
A parte ogni critica che si possa sollevare contro la simulazione, evidentemente basata su un modello grezzo e stranamente favorevole al risultato sperato dai promotori e progettisti, la stessa è certamente differente da ogni ragionevole ipotesi sull’andamento delle zone permeabili nel sottosuolo.
Si deve considerare che un tale effetto potrebbe mobilizzare gli inquinanti (la cui fonte è a meno di 800m ad est del bacino, alla stessa quota), e farli spostare verso il lato ovest della valle, in territorio di Trissino marginalmente ed in quello di Arzignano e Montecchio più a valle, oppure accelerarne il già rapido dilavamento aumentando la velocità dei flussi sotterranei.
Un secondo effetto, potrebbe essere invece quello di drenare la falda sotterranea dalla zona inquinata verso l’alveo del Guà, a causa dell’abbassamento dello stesso alveo ottenuto per realizzare il progettato Bacino.
In questo caso anche le parti a sud del comune di Trissino sarebbero esposte ad un inquinamento da PFAS.
Faccio notare che la seconda ipotesi è quella sottintesa dai documenti dello stesso progetto, e ribadita anche dai politici interpellati a proposito degli allagamenti avvenuti nel 2013 e 2014, quando prospettavano che la costruzione del bacino avrebbe limitato gli allagamenti.
La mia ipotesi è invece che l’effetto complessivo del bacino potrebbe essere una combinazione dei due prospettati sopra, portando un aumento dell’infiltrazione negli anni piovosi, ed un drenaggio degli inquinanti verso l’alveo del Guà negli anni siccitosi, con un complessivo aumento della dispersione degli inquinanti.
I miei suggerimenti, indirizzati principalmente ai proprietari di pozzi attualmente con livelli accettabili di PFAS, è di chiedere immediatamente:
la continuazione dell’estrazione di acqua nelle zone inquinate
l’immediato stop al progetto del bacino di laminazione
una analisi idrologica affidata ad organismi esterni rispetto a quelli coinvolti nei progetti in questione.
Un programma di monitoraggio dei pozzi anche negli anni successivi, a spese di chi ha inquinato