I veleni nell’Oasi sotto inchiesta trent’anni dopo
I veleni nell’Oasi
sotto inchiesta
trent’anni dopo
Nicola Negrin e Diego Neri
Trent’anni dopo il presunto inquinamento da cromo esavalente, scatta l’indagine della procura sull’oasi di Casale. Dopo la presentazione di un esposto da parte del comitato, il pubblico ministero Luigi Salvadori ha aperto un fascicolo per ricostruire quanto accaduto e valutare le eventuali responsabilità. Certo è che scoprire oggi cosa è successo negli anni Ottanta per gli inquirenti sarà un’impresa improba.
LA STORIA. La vicenda comincia all’inizio degli anni Ottanta con l’accusa di Giuseppe Romio del comitato per la difesa del territorio di Casale: «Nell’oasi (che a quel tempo era ancora una cava di argilla) sono stati sotterrati migliaia e migliaia di sacchi di plastica contenenti cromo esavalente». Romio, residente nella zona, presenta una denuncia alla procura della Repubblica nell’ottobre 1981. Nello stesso periodo anche l’amministratore della ditta Fornaci Beriche sporge denuncia contro ignoti «per abbandono di sacchetti di plastica contenenti sostanze chimiche». Immediatamente viene eseguito un sopralluogo che conferma quanto denunciato. Tanto che il 15 ottobre 1981 il responsabile dell’Ulss 8 «imponeva – si legge in un documento ufficiale del Comune – alla ditta di asportare e bruciare in un focolare controllato i circa 600 sacchetti contenenti bicromato di sodio, sostanza particolarmente tossica». L’operazione viene eseguita ma secondo il comitato non viene completata «perché quei contenitori erano molti di più». Il comitato nel 1988 ottiene un nuovo sopralluogo. È il 21 marzo e la ruspa di Amcps, dopo una serie di “saggi”, ritrova ancora quei sacchetti. L’Ulss viene incaricata di eseguire le analisi: l’azienda assicura che l’acqua non è inquinata ma conferma la presenza di cromo». È il 28 marzo di 25 anni fa.
I NUOVI ESPOSTI. Nel 1997 il comitato torna alla carica ma la situazione non cambia. Devono così passare quasi vent’anni per una nuova puntata della lunga storia. Ecco che a inizio 2015 arriva un nuovo esposto, firmato da Giovanni Pellizzari con il supporto del presidente del comitato, depositato al comando del corpo Forestale dello Stato. La denuncia si concentra su una questione: «Dall’anno in cui abbiamo denunciato l’inquinamento in questa zona si sono registrati 36 casi di malattia, soprattutto leucemie, cancri polmonari, del fegato e del pancreas. Di questi, 26 sono i decessi. È solo un caso?». Secondo l’Ulss non sarebbe possibile stabilire alcuna connessione tra le patologie rilevate dal comitato e le ipotesi di inquinamento. La palla, però, ora è in mano alla Procura.
«NOI DISPONIBILI». Nel frattempo il comitato bussa nuovamente alla porta di palazzo Trissino. Giuseppe Romio, che è stato sentito in procura, si dice pronto a passare dalle parole ai fatti. «Se il Comune non vuole spendere soldi per eseguire le indagini – attacca – come comitato siamo disponibili a finanziare l’intervento. È necessario eseguire un sopralluogo, scavare e capire se sotto il terreno ci sono ancora quei sacchi». Romio ha già mosso i primi passi. «Abbiamo chiesto un preventivo. L’operazione costerebbe circa 400 euro».
LE INDAGINI. Nel frattempo il magistrato ha avviato i primi accertamenti. L’obiettivo è comprendere intanto se l’inquinamento sia stato compiuto, e possibilmente da chi. Non solo: se oggi l’area sia ancora inquinata e infine se malattie e decessi registrati in zona siano collegati a quei sacchetti di cromo seppelliti decenni fa. È evidente, però, che lo sforzo investigativo rischi di essere vanificato dal tempo trascorso, anche perchè i reati ambientali che potrebbero essere stati commessi oggi sono prescritti.