Gruppo d’Intervento Giuridico:E questa sarebbe acqua depurata?
E questa sarebbe acqua depurata?
Nella mattinata dell’11 gen. 2015 una delegazione del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha incontrato il Senatore del M5S Enrico Cappelletti in località Sule a Cologna Veneta (VR) dove si trova lo scarico del collettore fognario ARICA, il quale dirige i reflui di cinque impianti di depurazione (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) nel corso d’acqua Fratta-Gorzone.
Ad accogliere la delegazione l’ormai tristemente famoso scarico lurido e maleodorante che, con efficienza ventiquattr’ore su ventiquattro, sversa sostanze tossiche nel fiume Fratta.
La questione dei reflui industriali del Distretto industriale di Valdagno e Valle del Chiampo, dove è localizzato un enorme distretto tessile e conciario e lo stabilimento di fluorocomposti della Miteni Spa, risale già ai primi anni sessanta, ma non è per questo ammissibile come un destino ineluttabile!
Le analisi svolte dall’ARPAV evidenziano che l’incidenza della contaminazione provocata sul corso d’acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta è prevalentemente dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nello scarico industriale della ditta Miteni Spa, allacciata all’impianto di depurazione di Trissino, la quale contribuisce per il 96,989% all’apporto totale di PFAS, in presenza di un impianto di depurazione non in grado di abbattere tale tipo di sostanze, in quanto non dotato di tecnologia adeguata.
Ma allora, se Miteni Spa può andar fiera di “operare come un attore importante nella chimica del fluoro da più di 45 anni” come scrive nel proprio profilo aziendale, chi ha permesso e chi continua a permettere cinquant’anni di veleni per vicentini, veronesi e padovani e tutti gli esseri viventi che popolano questa regione?!
Scrive l’ARPAV: “Allo stato attuale risulta che la propagazione della contaminazione ha raggiunto un’area di estensione di circa 150 km2 ed interessa principalmente le province di Vicenza, Verona e Padova, con presenza in falda e nei corsi d’acqua superficiali e nel sistema dei pozzi utilizzati per uso potabile nella zona di Lonigo, Sarego, Brendola e Vicenza”.
Un inquinamento folle che infetta e aggredisce una zona che va almeno da Trissino (VI) a Montagnana (PD).
Il Gruppo di Intervento Giuridico onlus, a più di un anno dal suo primo esposto in merito, del 20 settembre 2013, intende alzare la posta con un nuovo esposto indirizzato anche ai Nuclei Investigativi Polizia Ambientale e Forestale del Corpo Forestale dello Stato e al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri.
Se è vero che la presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nell’acqua non è ancora fatta oggetto di specifici limiti (standard di qualità ambientale), come affermato dal Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti rispondendo ad un’interrogazione parlamentare del Senatore Enrico Cappelletti, da parte evidentemente della ritardataria e carente normativa italiana, è altrettanto vero che la Direttiva 2013/39/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 12 agosto 2013, che modifica le direttive 2000/60/CE e 2008/105/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, individua l’acido perfluoroottansolfonico e derivati (PFOS)[1] come sostanza pericolosa prioritaria, fissandone lo standard di qualità ambientale (SQA) ad una concentrazione di 6,5 × 10 –4 μg/l e cioè 0,65 ng/l, a fronte di valori rilevati nelle acque superficiali e sotterranee nella Valle dell’Agno e del Chiampo che, come dimostrato dallo studio (tre campagne di monitoraggio nel maggio 2011, ottobre 2012, febbraio 2013) dell’Istituto di Ricerca Sulle Acque – IRSA del Consiglio Nazionale delle Ricerche, raggiungono valori di PFOA (acido perfluoroottanoico) superiori a 1000ng/L e di PFAS totale superiore a 2000ng/L.
Questo significa che le acque della Valle dell’Agno e del Chiampo, e di tutto il tessuto idrografico che insiste in quella regione, possono presentare valori di sostanze perfluoro-alchiliche che eccedono di 1.500, 2.000 volte lo standard di qualità proposto dalla Direttiva Quadro sulle Acque di 0,65ng/L !!
E supererebbero di molto anche i valori soglia tedeschi (100ng/L per la somma dei perfluorurati per una esposizione decennale) e, sempre e comunque, anche i limiti molto più permissivi espressi dalla United States Environmental Protection Agency (200ng/L per PFOS e 400ng/L per PFOA).
Ma tenetevi forte, perché in data 02/07/2013 l’ARPAV ha registrato somme totali di PFAS (∑PFAS) in uscita dallo scarico ARICA di Cologna Veneta (VR) pari a 49.877 ng/l !! E le concentrazioni rilevate da IRSA il 05/05/2011 sono state di 42.000 ng/l .
Il GrIG ricorda che, indifferentemente dalle lungaggini dei recepimenti di direttive europee e di adeguamento di normative italiane, esiste un Principio di precauzione sancito dall’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea che viene altresì ribadito nell’ Art. 3-ter. del Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 avente titolo “Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale” e che recita: “La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonche’ al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”.
L’inquinamento va pertanto prevenuto: non si interviene a disastro ambientale già avvenuto!
Il Principio di Precauzione sussiste nel momento in cui i PFAS, inquinanti organici persistenti soggetti pertanto a bioaccumulo, sono riconosciute come interferenti endocrini sulla base della letteratura scientifica internazionale e numerosi studi tossicologici, epidemiologici e clinici effettuati in numerosi paesi hanno dimostrato la tossicità delle sostanze perfluoroalchiliche per la tiroide, il sistema riproduttivo maschile e femminile, il fegato e l’apparato cardiovascolare. Tale tossicità è più marcata per l’organismo in via di sviluppo (feto e bambino) e può portare anche alla promozione di cancro negli organi bersaglio. Non a caso il PFOS (perfluorottano sulfonato) è classificato nel DESC (Database ecotossicologico sulle sostanze chimiche) del Ministero dell’ambiente come cancerogeno (categoria di pericolo 2), tossico per la riproduzione (categoria di pericolo 1b) e nocivo per i lattanti allattati al seno, tossico per diversi organi bersaglio per esposizione ripetuta (categoria di pericolo 1), tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.
Nell’ambito del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e della legge 7 agosto 1990, n. 241, art 1. comma 1, il sindaco di Cologna Veneta (VR), in qualità di tutore della salute pubblica, sulla scorta delle rilevazioni IRSA – CNR, dell’ ARPAV e in forza del Principio di precauzione, emani un’ordinanza urgente di interruzione dello scarico.
E chi inquina paga.
___________________________________________________
[1] Si tratta di composti utilizzati nel settore industriale e commerciale, nel campo dei refrigeranti, tensioattivi, e come componenti di farmaci, lubrificanti, insetticidi, cosmetici, nelle schiume impiegate negli estintori etc.