Emergenza Pfas in Veneto. Il Sivemp: «Scaricabarile inaccettabile. Gestione del rischio inappropriata»
La pubblicazione del verbale di un incontro tecnico in Regione, arrivato misteriosamente in questi giorni alla stampa, getta, se fosse possibile, una luce ancora più inquietante sulla gestione dell’emergenza da contaminazione da Pfas in Veneto. Una delle emergenze ambientali e sanitarie, va ricordato, più gravi degli ultimi anni e che coinvolge un territorio vastissimo tra le province di Verona, Vicenza e Padova. L’immagine che esce da quel verbale è sconcertante: in un clima di improvvisazione assistiamo a rimpalli di responsabilità anche da parte di chi, in prima persona, è stato appositamente incaricato di coordinare la gestione di questa emergenza. Il Sivemp, come sindacato dei veterinari pubblici, segue la vicenda Pfas con attenzione e senso di responsabilità sin dalle sue avvisaglie, nel maggio 2013, quando il ministero della Salute informò la Regione Veneto circa la presenza nell’acqua di sostanze perfluoralchiliche in concentrazioni definite “preoccupanti” in punti di erogazione pubblici e privati in numerosi comuni veneti. Per questo motivo siamo francamente attoniti di fronte alle affermazioni contenute nel verbale. La discussione sarebbe avvenuta il 13 gennaio 2016 e appare focalizzata sui risultati del monitoraggio sulle matrici alimentari disposti dalla Regione con delibera di Giunta n. 1570 del 26 agosto 2014 e terminati, per disposizione dello stesso provvedimento (presentato dall’assessore Luca Coletto), oltre sei mesi prima, il 30 giugno 2015. Peraltro i risultati di quelle analisi furono inviati dalla Regione, all’inizio del novembre 2015, al consigliere regionale Andrea Zanoni che li aveva richiesti e la notizia uscì sui giornali. Non solo, in precedenza, in un incontro in Regione il 30 settembre, i dati erano stati presentati ai responsabili dei servizi delle Ulss coinvolte nell’emergenza. Pertanto dovevano essere conosciuti. Stupisce quindi che, a distanza di tanto tempo, la coordinatrice della commissione tecnica regionale Pfas sembri non conoscerne le caratteristiche tecniche e gli esiti. Tanto più che i servizi veterinari e i Sian delle Ulss hanno eseguito quei campionamenti nei tempi e con le modalità stabilite dalle disposizioni impartite proprio della coordinatrice della commissione! Appare infine quantomeno singolare che il tavolo tecnico regionale, a cui si riferisce il verbale, non abbia trattato invece degli esiti del biomonitoraggio disposto con la delibera regionale 565 del 21 aprile 2015 per rilevare la concentrazione di Pfas nel sangue della popolazione residente nelle zone esposte. Analisi di grande rilevanza che hanno coinvolto 600 persone residenti in 14 comuni. Ebbene i risultati di quello studio, molto attesi, nonostante le richieste di alcuni amministratori pubblici di prenderne visione, sono a tutt’oggi secretati. Per quale motivo? I cittadini veneti hanno diritto di conoscerli. Anche nell’incertezza i gestori del rischio, infatti, sono tenuti a comunicare ciò che è stato fatto, ciò che si sta facendo, ciò che si intende fare. Il vuoto informativo favorisce la distorsione del “rischio-Pfas”. I veterinari pubblici del Veneto respingono, quindi, con forza le insinuazioni sulle presunte inadempienze da parte dei servizi dei Dipartimenti di prevenzione delle Ulss. Non accettano in alcun modo il gioco allo scaricabarile che emerge da quel verbale e richiamano tutte le parti in causa, a partire proprio da quelle istituzionali, a un doveroso senso di responsabilità, nel momento in cui è più forte la preoccupazione per la salute pubblica. 27 febbraio 2016 |