Arsenico nell’acqua, aperta procedura contro l’Italia
Arsenico nell’acqua, aperta procedura contro l’Italia
Scritto da: Dario Battistella 4 September 2014
In Italia l’acqua potabile è sempre stata una risorsa di cui gli italiani sono stati orgogliosi e fieri. Per far capire quanto ci tengano si potrebbe ricordare il grande movimento popolare che ha portato al successo del referendum contro la privatizzazione dell’acqua nel 2011. Già allora si discuteva dei problemi della nostra rete idrica, dei grossi investimenti di cui necessitava e della conseguente necessità di permettere l’entrata nel mercato di soggetti privati. Dopo la chiara indicazione politica espressa dal referendum si è però fatto forse troppo poco per la risoluzione di quei problemi, complice la crisi economica e la cronica mancanza di fondi. A sottolinearlo è stata la recente apertura, lo scorso 10 luglio, di una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, nei confronti dell’Italia per la qualità della nostra acqua.
Il problema non è sicuramente una novità, non riguarda tutto il Paese naturalmente, anzi in molte zone l’acqua potabile è ottima, ma, come è noto, la Commissione non fa distinzioni, chiamando in causa in ogni caso l’Italia in quanto Stato.
L’Unione Europea prevede limiti stringenti per l’acqua destinata all’uso umano: la Drinking Water Directive del 1998 prevede, infatti, il rispetto di circa 48 parametri e indicatori microbiologici e chimici. Lo scopo della Direttiva è di assicurare che l’acqua potabile sia pulita e senza ogni tipo di contaminazione. A tal fine prevede, in caso di violazione, che ogni Stato membro possa ottenere fino a tre deroghe di tre anni ciascuna, in assenza di rischi gravi per la salute e solo se lo Stato presenta un piano serio di rientro nel lungo termine. L’Italia tuttavia non è riuscita a rientrare nei tempi previsti dalla Direttiva. Per ben tre volte infatti ha ottenuto una deroga, cioè finché non è più stato possibile ottenerne. Ora se il problema non si dovesse risolvere velocemente l’unica strada che rimane è quella dell’apertura di una procedura d’infrazione.
Scendendo nel particolare le violazioni riguardano soprattutto il Lazio, in cui, come conclude la nota stampa della Commissione, “il limite per l’arsenico e il fluoruro non è ancora rispettato in 37 zone”. Naturalmente la stessa Regione Lazio sta agendo il più velocemente possibile per porre fine a questa situazione, visto che comunque le deroghe vengono concesse solo in presenza di un piano di rientro. Già nel 2011 veniva nominato un Commissario Delegato per l’emergenza e venivano poi avviati interventi per circa 12 milioni di euro, con fondi messi a disposizione dalla stessa Regione Lazio.
Questa prima tranche di interventi, chiamata Prima fase, serve per risolvere il problema in quei comuni in cui la concentrazione di arsenico nell’acqua è superiore ai 20 microgrammi/litro. Successivamente la stessa Regione ha stanziato altri 24 milioni di euro per attuare la seconda fase, cioè intervenire anche in quelle aree in cui la concentrazione è compresa tra i 10 e i 20 microgrammi/litro, con la realizzazione di 49 potabilizzatori in 35 comuni. Infine, come spiega la stessa Regione in una nota, il Lazio “ha deciso di investire 110 milioni di euro di fondi europei anche per opere finalizzate al raggiungimento di un assetto più stabile e definitivo, attraverso la creazione di nuove connessioni tra acquedotti finalizzate alla miscelazioni di acque provenienti da siti diversi, così da addolcire la presenza di arsenico”.
Nel frattempo si continua a utilizzare l’acqua contaminata, ma con le dovute accortezze. Infatti lo stesso Istituto Superiore della Sanità in una nota stampa dell’aprile 2013 ricorda che “l’esposizione umana alla forma inorganica dell’arsenico presente nelle acque è associata a importanti effetti tossici nell’essere umano, tra cui gli effetti cancerogeni a carico di diversi organi” e quindi ne consigliava l’utilizzo per un periodo di tempo il più possibile limitato.
Sembra strano in ogni caso pensare che ben tre deroghe non siano state ancora sufficienti a risolvere il problema. Per questo, dopo la lettera di messa in mora, la Commissione potrebbe procedere oltre aprendo una procedura di infrazione con tutte le conseguenze del caso. D’altronde la sicurezza di un bene primario come l’acqua dovrebbe essere sempre assicurata, a tutela soprattutto dei cittadini e dell’ambiente.